L’affidamento
Il giudice deve, già nell’ambito delle misure a protezione dell’unione coniugale, agire a tutela dei figli minorenni tenendo conto del fatto che decisivo è l’interesse del figlio a uno sviluppo fisico, psichico e intellettuale armonioso.
Per quanto concerne l’affidamento, occorre in primo luogo accertare la capacità educativa dei genitori. Se questa risulta equivalente, l’affidamento compete per principio, soprattutto nel caso di bambini piccoli o di ragazzi che frequentano la scuola dell’obbligo, al genitore che ha la possibilità e che è pronto a occuparsene personalmente. Qualora entrambi i genitori adempiano tale requisito più o meno nella stessa misura, può rivelarsi determinante la stabilità delle relazioni locali e familiari. Occorre inoltre tenere conto, secondo l’età del figlio, della chiara volontà espressa da quest’ultimo. Infine vi sono ulteriori criteri, come la disponibilità di un genitore a collaborare con l’altro nella cura e nell’educazione del figlio oppure l’esistenza diun legame personale e affettivo tra il figlio e un genitore speciale. Questi cosiddetti “ulteriori criteri” non hanno un ordine gerarchico. Ne consegue che, secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, uno o l’altro di questi “ulteriori criteri” sarà di maggior rilievo a dipendenza del singolo caso concreto.
Ciò premesso, in una procedura a tutela dell’unione coniugale non si tratta – come in una causa di divorzio – di statuire in maniera definitiva sull’affidamento del figlio, adottando una soluzione ottimale, ma solo di regolare la vita separata dei coniugi, scegliendo la soluzione che sembra offrire al figlio le garanzie migliori compatibilmente con la celerità di un giudizio sommario fondato sulla verosimiglianza. La decisione a tutela dell’unione coniugale è, del resto, assimilabile a un provvedimento cuatelare, che può sempre essere modificato (art. 179 cpv. 1 CC). Non è quella la sede, in altri termini, per inquisire con referti specialistici sulle capacità dei genitori. Una perizia si giustifica solo eccezionalmente, anche se l’affidamento del figlio è litigioso.Dovendo statuire sull’affidamento del figlio, in ultima analisi, il giudice a protezione dell’unione coniugale si limita ad accertare quale genitore appaia verosimilmente idoneo alla custodia e, dandosi sostanziale parità, quale genitore appaia avere la verosimile possibilità ed essere verosimilmente pronto a occuparsi di persona in maggior misura del figlio. Dandosi sostanziale equivalenza anche al proposito, egli privilegia il criterio della stabilità e lascia per quanto possibile il figlio nel suo ambiente, di solito con il genitore che gli ha dedicato più tempo durante la vita in comune dei coniugi, secondo il riparto dei ruoli assunto da questi ultimi all’interno della famiglia. L’affidamento definitivo interverrà poi al momento della separazione o del divorzio.
Il diritto di visita
Con il genitore non affidatario
Secondo l’art. 273 CC, i genitori che non sono detentori dell’autorità parentale o della custodia nonché il figlio minorenne hanno reciprocamente il diritto di conservare le relazioni personali indicate dalle circostanze.
La giurisprudenza ha in particolare sottolineato che decisivo per la concessione, l’estensione e la disciplina del diritto di visita è il bene del figlio, inteso non solo in senso fisico, ma anche psichico, morale e spirituale. L’autorità adita valuta ogni singolo caso sulla scorta delle circostanze concrete, tenendo conto dell’età del figlio, del suo sviluppo fisico e psichico, del suo legame con il genitore non affidatario, del carattere di quest’ultimo, della distanza tra le abitazioni dei genitori, di eventuali conflitti interni e così via. Nel suo apprezzamento essa non è vincolata, in virtù del principio inquisitorio illimitato che governa il diritto di filiazione né alle dichiarazioni delle parti né alle loro offerte di prova.
La prassi ha inoltre più volte sottolineato l’importanza del mantenimento dei rapporti personali con entrambi i genitori. E’ così che, essendo il bene del figlio l’unico criterio cui deve orientarsi un diritto di visita, addirittura la volontà di un ragazzo tredicenne non è decisiva per scartare l’opportunità di relazioni personali con il genitore non affidatario, senza nulla togliere alla circostanza che un giovane di quell’età sia in grado di elaborare ragionamenti logici e di possedere la maturità emozionale e cognitiva per formarsi un’opinione propria e duratura.
Con i terzi (nonni)
L’art. 273 cpv. 1 CC riserva, di principio, ai genitori il diritto alle relazioni personali con il figlio.
In “circostanze straordinarie” tale prerogativa può nondimeno essere estesa anche ad altre persone, sempre che “ciò serva al bene del figlio” (art. 274° CC). Fra le “circostanze straordinarie” la dottrina annovera, ad esempio, la morte di un genitore, circostanza che giustifica di concedere un diritto di visita a membri della famiglia del defunto, in particolare ai nonni, in modo da mantenere i legami di parentela con l’abiatico. Quanto al bene del figlio, esso può risultare dal desiderio da lui espresso di rimanere in relazione con l’uno o l’altro parente, oppure dal fatto che il rapporto con tale persona gli trasmetta o rafforzi in lui un senso di protezione, fermo restando che ciò non deve avere effetti negativi su di lui Solo il bene del bambino – in effetti – è determinante, non quello del genitore affidatario e nemmeno quello delle persone che desiderano intrattenere relazioni personali con il minorenne.