Tempestività della notifica dei difetti

L’art. 367 cpv. 1 CO prevede che, seguita la consegna dell’opera, il committente, appena lo consenta l’ordinario corso degli affari, deve verificare lo stato e segnalarne all’appaltatore i difetti.

Qualora i difetti si manifestassero soltanto più tardi, dovrà esserne dato avviso appena questi siano stati scoperti, altrimenti l’opera si ritiene approvata nonostante i difetti stessi (art. 370 cpv. 3 CO).

La legge instaura quindi una finzione di accettazione dell’opera nel caso in cui il committente omette di segnalare tempestivamente i difetti, liberando da ogni responsabilità l’appaltatore per quelli annunciati tardivamente (cfr. TF 4A_251/2018 dell’11 settembre 2018 consid. 3.1).

Il committente deve dare l’avviso dei difetti “tosto” la loro scoperta. Può concedersi un breve periodo di riflessione, ma deve decidersi rapidamente. Le circostanze del caso concreto, e in particolare la natura del difetto, sono determinanti per valutare se ha agito in tempo utile (cfr. DTF 118 II 142 consid. 3b, 131 III 145 consid. 7.2) e non sussiste alcuna regola generale che giustifica di richiedere in maniera rigida, a protezione dell’appaltatore, che il committente proceda a una segnalazione entro 7 giorni dalla scoperta del difetto.

In maniera generale può però essere preteso un termine breve per reclamare, qualora sussista il pericolo che, attendendo a notificare il difetto, il danno aumenti (cfr. TF 4A_399/2018 dell’8 febbraio 2019 consid. 3.2).

Un difetto è considerato scoperto se il committente ne constata l’esistenza con certezza in modo da poter formulare un reclamo sufficientemente motivato.

Ciò presuppone che possa misurarne l’importanza ed estensione. I difetti occulti di una cosa si ritengono scoperti al momento in cui il committente acquista la certezza della loro esistenza.

Quelli che appaiono progressivamente, nel senso che la loro estensione e la loro intensità aumentano poco a poco, non si reputano dunque scoperti già quando si manifestano i primi indizi, bensì solo quando il committente sia in grado di rilevarne l’importanza e la portata, ciò al fine di evitare che – per non perdere i suoi diritti – questi comunichi ogni bagattella all’appaltatore.

Il committente è tenuto a segnalare il difetto solo quando gli sia noto (o debba essergli noto, secondo la buona fede) ch’esso costituisce un inadempimento del contratto e non un fenomeno usuale, che non rappresenta una difformità contrattuale (cfr. DTF 117 II 425 consid. 2, 131 III 145 consid. 7.2).

Il committente non è obbligato a rivolgersi a un esperto, ma può effettuare la segnalazione sulla base di una semplice supposizione, prima che il difetto sia stato constatato con certezza e dunque prima ancora che il termine in discussione cominci a decorrere (cfr. TF 4A_293/2017 del 13 febbraio 2018 consid. 2.2.3).

Nel suo avviso il committente deve indicare quali difetti ha scoperto, nonché esprimere la volontà di non riconoscere che l’opera è conforme al contratto e di renderne l’appaltatore responsabile.

Occorre una certa precisione per quanto concerne la descrizione del difetto, una generica esternazione d’insoddisfazione non essendo sufficiente (cfr. TF 4A_251/2018 dell’11 settembre 2018 consid. 3.2). Basta per contro indicare gli effetti negativi riscontrati (cfr. TF 4A_82/2008 del 29 aprile 2009 consid. 6.1; cfr. pure, sull’intera tematica, TF 4A_205/2020 del 13 luglio 2021 consid. 3).

Diritto di visita dei nonni

Secondo l’art. 274 CC, in “circostanze straordinarie” il diritto alle relazioni personali (il cosiddetto diritto di visita) può essere accordato, oltre che al genitore non affidatario, anche ad altre persone, se ciò serve al bene del minore.

“Circostanze straordinarie” sono – ad esempio – cambiamenti famigliari (come la separazione dei genitori) che non permettono più a tali parenti (ad esempio ai nonni) di mantenere un rapporto instauratosi con il minorenne.

Diversamente dalle relazioni personali tra genitore e figlio (dove vi è un diritto del genitore non affidatario ad avere un diritto di visita), le relazioni tra i terzi e il figlio devono orientarsi esclusivamente al bene di quest’ultimo.

In altre parole, solo l’interesse del figlio è determinante, non quello della persona con la quale costui può o deve intrattenere delle relazioni personali.

Il diritto di visita dei terzi deve pertanto servire positivamente al bene del minore, quindi deve contribuire concretamente al suo benessere.

Non è sufficiente che la relazione non gli causi un pregiudizio.

Il diritto alle relazioni personali (diritto di visita) va di principio ritenuto nell’interesse del minore qualora il figlio (capace di discernimento rispetto a tale questione) esprime chiaramente il bisogno di restare in contatto con la persona in questione, la quale gli procura o rafforza un sentimento di protezione (ciò tuttavia a condizione che non vi siano da temere degli effetti pregiudizievoli)

Valuta in cui far valere una pretesa di risarcimento danni

Nella sentenza DTF 134 III 151, discostandosi da una giurisprudenza precedente più flessibile, il Tribunale federale ha stabilito, sulla base dell’art. 84 cpv. 1 CO,
che il creditore con un credito contrattualmente dovuto in euro, nella fattispecie un credito per la restituzione di un prestito denominato in euro, deve presentare le proprie domande di giudizio in euro (considerando 2).

Ciò in quanto l’art. 84 cpv. 2 CO dà unicamente al debitore la possibilità di saldare il proprio debito in franchi svizzeri, ma il creditore non ha questa possibilità

Nella sentenza DTF 137 III 158, poi, il Tribunale federale ha esteso la giurisprudenza sviluppata per i crediti in valuta estera fissati contrattualmente a tutte le richieste di risarcimento danni, sia contrattuali che extracontrattuali, ritenendo che l’art. 84 cpv. 1 CO si applichi a tutti i debiti di denaro, indipendentemente dalla loro causa (considerando 3.1).

Di conseguenza, visto che lo scopo di una richiesta di risarcimento danni è quello di compensare l’effettiva perdita di valore subita dal patrimonio del creditore, quest’ultimo deve formulare la sua richiesta nella valuta dello Stato in cui si è verificata la riduzione del patrimonio, ossia la valuta del suo domicilio o della sua sede legale (DTF 137 III 158 considerando 3.2.2).

Ad esempio, se un residente in Italia chiede un risarcimento danni a un ospedale svizzero in cui è stato curato, la richiesta deve formularla in Euro.

Le richieste di risarcimento erroneamente presentate in franchi svizzeri devono essere respinte. Il tribunale deve constatare l’inesistenza del credito e respingere l’azione per violazione dell’art. 84 cpv. 1 CO (DTF 134 III 151, cpv. 2; sentenza 4A_200/2019, cpv. 5).

Tuttavia, il creditore può proporre una nuova azione in valuta estera. Questo perché, per quanto riguarda l’eccezione di crescita in giudicato del precedente giudizio, l’oggetto della nuova azione, denominato in valuta estera, non è identico a quello oggetto della prima sentenza, espresso in franchi svizzeri.

Costi veicolo nel fabbisogno minimo?

I costi di un veicolo privato (rata leasing, tassa di circolazione, assicurazione possono essere inseriti nel minimo esistenziale del diritto esecutivo, anche in situazioni di ristrettezze economiche, se l’uso del mezzo è indispensabile per l’esercizio della professione, tant’è che per diritto federale è corretto includere nel fabbisogno minimo di un coniuge le intere rate di un leasing riguardante un veicolo di natura impignorabile (DTF 140 III 342 consid. 5.2; RtiD I-2022 pag. 572 n. 6c consid. 3).

Eventualmente, occorre eventualmente verificare se la rata del leasing sia troppo dispendiosa.

Per contro, i costi di un veicolo non necessario per motivi professionali o di salute (o altro valido motivo che imponga l’uso di un veicolo) vanno tolti dal fabbisogno minimo “allargato”. Il coniuge deve finanziare queste spese per l’automobile con la sua quota d’eccedenza. 

Ipoteca legale degli artigiani e degli imprenditori nel caso di lavori su una PPP

L’iscrizione di un’ipoteca legale può essere fatta per materiali e lavoro, o lavoro soltanto, destinati a un’opera eseguita su un determinato fondo.

Di conseguenza, il privilegio degli artigiani e imprenditori esite unicamen­te per prestazioni eseguite su un immobile specifico, in relazio­ne a un concreto progetto di costruzione (RtiD I-2019 pag. 546 consid. 4a con riferimenti).

In caso di lavori su più particelle, l’ipoteca legale va chiesta sotto forma di pegno parziale, gravante ogni singolo fondo per la frazione del credito di cui il proprietario risponde (art. 798 cpv. 2 CC), e ciò a prescindere dal fatto che l’artigiano o imprenditore abbia eseguito il lavoro sulla base di uno o più contratti (RtiD I-2019 pag. 546 consid. 4a).

E’ compito dell’artigiano allestire un conteggio preciso per ogni fondo e fatturare i lavori separatamente, tanto riguardo all’ammontare del credito quanto all’entità della relativa garanzia (DTF 146 III 9 consid. 2.1.2; RtiD I-2019 pag. 546 consid. 4b; da ultimo: I CCA sentenza inc. 11.2020.60 del 19 agosto 2021 consid. 6).

Di conseguenza, l’artigiano o imprenditore non può suddividere il costo del proprio intervento in modo astratto tra la superficie dei vari fondi, né ripartire l’insieme delle sue prestazio­ni secondo la volumetria delle eventuali costruzioni, ma deve specificare quali prestazioni (materiali e lavoro, o lavoro soltanto) sono state eseguite per un determinato fondo e a quale prezzo.

Il fatto che siano stati convenuti costi globali o forfettari non esonera l’artigiano da questo obbligo.

Questi principi si applicano non solo alle iscrizioni definitive, ma anche alle iscrizioni provvisorie, sebbene cifrare l’ammontare del pegno per queste ultime possa apparire arduo, vista l’esigenza di ottenere l’iscrizione entro quattro mesi e l’impossibilità di aumentare in seguito l’ammontare della garanzia iscritta.

In casi del genere è ammessa un’iscrizione provvisoria dell’ipoteca legale a carico dei singoli per un importo approssimativo, con un ‟margine di sicurezzaˮ del 10–20% (RtiD I-2019 pag. 546 seg. consid. 4b e 4d con rinvii).

Con riferimento alla proprietà per piani, queste regole fanno sì che per lavori eseguiti su una determinata proprietà per piani un’eventuale ipoteca legale deve gravare soltanto quella determinata unità.

Se più unità hanno beneficiato di lavori, l’ipoteca legale riveste la forma di un pegno parziale, gravante ogni singola unità per l’importo di cui è debitore il relativo proprietario; un pegno collettivo su tutte le unità per la totalità del credito da garantire è possibile solo eccezionalmente, alle condizioni dell’art. 798 cpv. 1 CC.

Se i lavori abbiano per oggetto parti comuni di una proprietà per piani, il pegno grava l’oggetto in comproprietà e l’artigiano o imprenditore deve ripartire la sua spettanza sui proprietari delle varie unità in funzione delle rispettive quote, in modo che si possano iscrivere pegni parziali giusta l’art. 798 cpv. 2 CC (DTF 146 III 10 consid. 2.1.3 con rinvii; sul tema v. anche RtiD I-2011 pag. 668 n. 21c con numerosi richiami; da ultimo: I CCA sentenza inc. 11.2020.60 del 19 agosto 2021 consid. 6).

Obbligo di mantenimento verso un figlio maggiorenne – Anche in caso di interruzione dei rapporti tra il genitore e il figlio?

L’art. 277 cpv. 2 CC prevede un obbligo di mantenimento verso un figlio maggiorenne. Secondo questa norma, se, raggiunta la maggiore età, il figlio non ha ancora una formazione appropriata, i genitori, per quanto si possa ragionevolmente pretendere da loro dato l’insieme delle circostanze, devono continuare a provvedere al suo mantenimento fino al momento in cui una simile formazione possa normalmente concludersi (art. 277 cpv. 2 CC).

Comunque, come il Tribunale d’appello ha già avuto modo di ricordare, l’obbligo di mantenimento verso un figlio maggiorenne dipende dall’insieme delle circostanze, comprese le relazioni personali tra genitore e figlio.

Se la mancanza di rapporti personali si ricollega alla sola condotta del figlio che li rifiuta, il contributo di mantenimento può essere rifiutato.

Particolare riserbo si impone tuttavia qualora il comportamento del figlio si riconduca a un divorzio conflittuale dei genitori.

Se, comunque, dopo la maggiore età il figlio continua a manifestare ostilità al genitore, pur comportandosi questi correttamente verso di lui, ciò configura una colpa. 

In tal caso una richiesta di contributo alimentare può essere respinta (RtiD I-2015 pag. 883 n. 14c con particolare riferimento a DTF 129 III 379 consid. 4.2 e a Piotet in: Commentaire romand, CC I, Basilea 2010, n. 16 ad art. 277; da ulti­mo: I CCA, sentenza inc. 11.2019.108 del 27 ottobre 2020 consid. 10b e sentenza inc. 11.2018.59 del 6 luglio 2020 consid. 30a con richiami a Meier/Stettler, Droit de la filiation, 6ª edizione, pag. 1048 nota 3736 e pag. 1051 n. 1613 e a Aeschlimann/Schweighauser in: FamKomm Scheidung, vol. I, 3ª edizione, n. 68 delle osservazioni generali agli art. 276–293 CC).

Per quanto riguarda, in specie, comportamenti oggettivamente riprovevoli di un figlio maggiorenne dovuti alle emozioni che il divorzio dei genitori può avere generato in lui e delle tensioni che ne possono essere seguite, il Tribunale d’appello ha precisato – nel solco della giurisprudenza testé riassunta – che simili comportamenti devono essere valutati con cautela, soprattutto ove la maggiore età del figlio sia appena intervenuta.

Più il tem­po trascorre, nondimeno, più si può esigere che il figlio acquisisca distacco dal passato e sappia gestire in modo equanime la situazione. Secondo Meier/Stettler, le conseguenze riconducibili a una violazione dell’art. 277 cpv. 2 CC da parte del figlio andrebbero modulate in funzione dell’età e della colpa del ragazzo.

A mente loro, tali conseguenze andrebbero attenuate, indicativamente tra i 18 e i 22 anni, riducendo per esempio l’ammontare o la durata del contributo alimentare, senza rifiutare del tutto il contributo (op. cit., pag. 1050 n. 1612).

Recentemente, e nel medesimo ordine di idee, il Tribunale d’appello ha richiamato un figlio appena divenuto maggiorenne, il quale respingeva recisamente ogni contatto con il padre, avvertendolo che, avesse egli persistito in tale atteggiamento nonostante le aperture del genitore, quest’ultimo avrebbe potuto chiedere una soppressione del contributo alimentare (sentenza citata inc. 11.2019.108 del 27 ottobre 2020 consid. 10c).

Qualche mese prima, la I CCA aveva avuto occasione di valutare il comportamento di una figlia ventenne che, dopo avere appoggiato le posizioni della madre in seguito a un divorzio combattuto e avere ignorato il padre per anni, lasciava intravedere qualche timida apertura alle sollecitazioni del genitore.

La Camera ha ritenuto che non tutto sembrava perduto e ha riconosciuto alla figlia il diritto al mantenimento, non senza rilevare però che quello spiraglio di riavvicinamento non bastava e che le relazioni personali con il padre andavano decisamente migliorate (senten­za citata inc. 11.2018.59 del 6 luglio 2020 consid. 30a).

Diversamente la Camera ha respinto una richiesta di contributo di mantenimento verso un figlio maggiorenne avanzata da un figlio di 25 anni che continuava a rigettare ogni tentativo di approccio da parte del padre, dal cui divorzio egli non aveva mai preso le distanze.

La Camera ha rimesso in tal caso il figlio alle proprie responsabilità, il ruolo del padre non potendo essere sminuito a quello di semplice ente pagatore (sentenza citata inc. 11.2018.59 del 6 luglio 2020 consid. 30b).

Come il Tribunale federale ha spiegato in DTF 129 III 379 consid. 4.2 (menzionata sopra, al consid. 5), nell’ambito della decisione riguardo all’obbligo di mantenimento verso un figlio maggiorenne occorre trovare un giusto compromesso tra l’interesse del figlio maggiorenne a ricevere un contributo di mantenimento per la propria formazione scolastica o professionale e l’interesse del genitore a non essere svilito a mero erogatore di pagamenti.

Un figlio maggiorenne che continua a ignorare completamente un genitore, sebbene questi desideri relazioni personali con lui, e rifiuta ogni approccio, salvo esigere il versamento di un contributo alimentare da parte di quel genitore, si comporta in modo incoerente e non può trovare protezione, a meno che la colpa del genitore verso il figlio sia tanto grave, pur alla luce del tempo trascorso, da far apparire normale l’interruzione di ogni contatto.

Contributi di mantenimento e fabbisogno minimo

Nella sua recente giurisprudenza il Tribunale federale ha deciso che il criterio applicabile per la fissazione dei contributi di mantenimento a livello svizzero è il cosiddetto metodo “a due fasi”, in esito al quale l’eccedenza registrata dal bilancio familiare va ripartita fra coniugi e figli minorenni dopo avere dedotto dalle entrate complessive dei coniugi il fabbisogno di ogni membro della famiglia, dividendo tale eccedenza nella proporzione di due a uno (DTF 147 III 265, 147 III 293, 147 III 301).

Determinante per la fissazione dei contributi di mantenimento sono quindi le entrate complessive dei coniugi, ma anche il loro fabbisogno. Cosa rientra nel fabbisogno?

Nel sistema “a due fasi”, il fabbisogno di ogni membro della famiglia è definito in base alle direttive per il calcolo dei minimi di esistenza in Svizzera diramate dalla Conferenza degli ufficiali delle esecuzioni e dei fallimenti agli effetti dell’art. 93 LEF (per il Cantone Ticino: FU 68/2009 del 28 agosto 2009, pag. 6292 segg.). 

Il minimo esistenziale per una persona sola è di fr. 1200.– mensili, quello per un genitore affidatario di fr. 1350.– mensili, mentre per chi vive in comunione domestica con una terza persona esso è la metà dell’importo di base per coppia, ovvero fr. 850.– mensili (DTF 144 III 506 consid. 6.6; RtiD I-2020 pag. 598 n. 4c).

A tale minimo esistenziale si aggiungono, se le condizioni finanziarie ciò permettono:

  • i costi effettivi dell’alloggio (e non solo quelli previsti dal diritto esecutivo);
  • un’indennità per spese di telefonia e di comunicazione;
  • un’indennità per i premi delle assicurazioni non obbligatorie (ad esempio l’assicurazione complementare contro la malattia e gli infortuni);
  • un’indennità per l’uso dei mezzi pubblici;
  • i costi di una formazione continua (se necessaria);
  • le spese connesse all’esercizio di diritti di visita;
  • gli oneri di previdenza professionale di lavoratori indipendenti;
  • il rimborso di debiti contratti durante la comunione domestica a beneficio della famiglia o decisi in comune o di cui i coniugi sono solidalmente responsabili (per esempio un ammortamento ipotecario);
  • le imposte;
  • eventuali contributi di mantenimento dovuti a figli maggiorenni o nati da un precedente matrimonio (fabbisogno minimo “allargato” o “del diritto di famiglia”: sentenza del Tribunale federale 5A_127/2021 del 1° ottobre 2021 consid. 4.3.2 con numerosi rimandi).

Non fanno parte del minimo esistenziale del diritto esecutivo (né tanto meno del minimo esistenziale “allargato” o “del diritto di famiglia”), invece

  • l’uso di un’automobile per svago;
  • le spese voluttuarie come viaggi, vacanze, hobby (DTF 147 III 265 consid. 7.2 con numerosi rimandi; da ultimo: I CCA, sentenza inc. 11.2020.171 dell’8 febbraio 2022 consid. 8d).

Custodia alternata quale regola

Nella sua giurisprudenza più recente il Tribunale federale ha chiarito che la custodia alternata deve essere la regola, dalla quale ci si può discostare unicamente quando questa è dannosa per il bene dei figli per motivi particolari.

Inoltre, il Tribunale federale ha ricordato che secondo il rivisto diritto della filiazione il concetto di custodia si limita oggi alla custodia di fatto.

L’alta Corte ha stabilito che quando i genitori si occupano dei figli in modo quasi paritario, la custodia va espressamente designata quale custodia alternata e non vanno di conseguenza regolamentati i diritti di visita, bensì le quote di partecipazione alle cure (DTF 147 III 121, consid. 3.2.2).

Peraltro, in una recentissima sentenza del 13 luglio 2021 ( 5A_722/2020) , pubblicata sull’ultimo numero della rivista Fampra.ch (FamPra.ch 2021, pag. 1103), il Tribunale federale  ha indicato che finanche una regolamentazione della partecipazione alla cura secondo la quale le quote di partecipazione all’accudimento sono suddivise tra i genitori secondo una proporzione 40%/60%, corrisponde a una custodia alternata.  

Di regola, è data una custodia alternata quando le quote di accudimento di entrambi i genitori sono superiori al 25% (cfr. Fampra.ch 2021, pag. 886 con riferimenti).

Per quanto attiene ai contributi di mantenimento per i figli, il Tribunale federale ha stabilito che il mantenimento dei figli deve essere sopportato dai genitori in funzione della loro partecipazione alla cura del figlio ed eventualmente della loro capacità contributiva (DTF 147 III 265, consid. 5.5).

Rivoluzione del Tribunale federale sul metodo di calcolo dei contributi di mantenimento (alimenti)

In tre recenti sentenze il Tribunale federale ha rivoluzionato il metodo di calcolo dei contributi di mantenimento (alimenti) del diritto di famiglia e ha dichiarato applicabile a livello svizzero, di principio, unicamente il metodo a “due fasi”: secondo questo metodo, si procede al riparto tra i coniugi e i figli, di regola nella proporzione di 2 a uno, del­l’eccedenza che rimane dopo aver dedotto dal reddito globale della famiglia il fabbisogno dei coniugi e quello dei figli minorenni.

Il fabbisogno di ogni membro della famiglia è definito in base alle direttive per il calcolo dei minimi di esisten­za in Svizzera diramate dalla Conferen­za degli ufficiali delle esecuzioni e dei fallimenti agli effetti del­l’art. 93 LEF (per il Cantone Ticino: FU 68/2009 del 28 agosto 2009 pag. 6292 segg.). A tali minimi si aggiungono per ogni singolo membro, se le condizioni della famiglia ciò permettono, i costi effettivi dell’alloggio (e non solo quelli di un alloggio commisurato alla rispettiva situazione economica), le imposte, un’indennità per spese di telefonia e di comunicazione, i premi di assicurazioni non obbligatorie, le spese connesse all’esercizio di diritti di visita, gli oneri di previdenza professionale di lavoratori indipendenti e il rimborso di eventuali debiti contratti durante la comunione domestica, mentre rimangono escluse le spese voluttuarie o per diporto come viaggi, vacanze, hobby e così via.

Sul fabbisogno dei figli, in particolare

Diversamente da quanto valeva negli ultimi 30 anni, il fabbisogno dei figli non va più calcolato secondo le “famigerate” Tabelle di Zurigo, bensì – come detto – secondo le direttive per il calcolo dei minimi di esisten­za in Svizzera diramate dalla Conferen­za degli ufficiali delle esecuzioni e dei fallimenti agli effetti del­l’art. 93 LEF.

Al minimo di base del diritto esecutivo (che ammonta a fr. 400.– mensili fino ai 10 anni rispettivamente a fr. 600.— dopo di allora, si aggiunge una partecipazione ai costi dell’alloggio (del 20% per il primo figlio e del 10% per il secondo), il premio della cassa malati e una parte delle imposte (che la madre deve assume­re finché si vede cumulare il contributo di mantenimento ai propri redditi), e si deduce l’assegno familiare. Altri costi d’aggiungere sono ad esempio quelli per l’accudimento da parte di terzi.

Diritto di visita: diritto al recupero dei giorni persi per scelta unilaterale del genitore affidatario?

La legge prevede che i genitori che non hanno la custodia, come anche il figlio minorenne, hanno reciprocamente il diritto di conservare le relazioni personali indicate dalle circostanze. Il giudice deve quindi regolamentare il diritto di visita. La legge non indica però se vi sia o meno un diritto al recupero dei giorni di diritto di visita persi.

Secondo alcuni commentatori gli incontri mancati vanno, di regola, recuperati per non compromettere lo scopo delle relazioni personali (Schwenzer/Cottier, Basler Kommentar, ZGB I, 6ª ed. 2018, ad art. 273 CC, n. 16), mentre altri autori reputano che sia data possibilità di recuperarli solo qualora il titolare del diritto di visita non abbia potuto incontrare il figlio per ragioni imputabili al detentore della custodia parentale, ma non quando il diritto di visita è decaduto per motivi a lui riconducibili o per cause fortuite (malattia del figlio, lezioni scolastici ecc.: Hegnauer, in: Berner Kommentar,4ª ed., n. 130-131 ad art. 273 CC; Meier/Stettler, Droit de la filiation, 6ª ed., pag. 645 n. 995; COPMA, Droit de la protection de l’enfant, Guide pratique, 2017, n. 15.36, pag. 360; sentenza ICCA del 30 novembre 2009, inc. 11.2008.39, consid. 5b).

Con riferimento alla questione del recupero dei giorni persi, il Tribunale federale ha stabilito che occorre evitare un cumulo di giorni arretrati suscettibile di risultare pregiudizievole per il minore e occorre evitare di riferirsi a criteri meramente contabili in quanto lo scopo delle relazioni personali è quello di garantire contatti adeguati tra genitore e figlio (STF 5A_883/2017 del 21 agosto 2018 consid. 3.2; STF 5C.146/2001 del 26 ottobre 2001 consid. 2a, in FamPra.ch 2002 pag. 399).

Recentemente il Tribunale federale ha poi indicato che il criterio determinante non è tanto sapere chi sia responsabile del mancato esercizio – genitore beneficiario del diritto di visita o genitore affidatario – bensì se il recupero sia nell’interesse del figlio (STF 5A_883/2017 del 21 agosto 2018, consid. 3.2, in FamPra.ch 2018, pag. 1049; sentenza ICCA del 10 febbraio 2020, inc. 11.2018.70, consid. 4a).

A mio giudizio, di principio i diritti di visita andrebbero recuperati quando decadono per scelta unilaterale del genitore affidatario. Ricordo poi che l’ostacolare il diritto di visita può avere un rilievo anche per valutare la capacità genitoriale del genitore affidatario e potrebbe finanche comportare una modifica dell’affidamento.