Rivoluzione del Tribunale federale sul metodo di calcolo dei contributi di mantenimento (alimenti)

In tre recenti sentenze il Tribunale federale ha rivoluzionato il metodo di calcolo dei contributi di mantenimento (alimenti) del diritto di famiglia e ha dichiarato applicabile a livello svizzero, di principio, unicamente il metodo a “due fasi”: secondo questo metodo, si procede al riparto tra i coniugi e i figli, di regola nella proporzione di 2 a uno, del­l’eccedenza che rimane dopo aver dedotto dal reddito globale della famiglia il fabbisogno dei coniugi e quello dei figli minorenni.

Il fabbisogno di ogni membro della famiglia è definito in base alle direttive per il calcolo dei minimi di esisten­za in Svizzera diramate dalla Conferen­za degli ufficiali delle esecuzioni e dei fallimenti agli effetti del­l’art. 93 LEF (per il Cantone Ticino: FU 68/2009 del 28 agosto 2009 pag. 6292 segg.). A tali minimi si aggiungono per ogni singolo membro, se le condizioni della famiglia ciò permettono, i costi effettivi dell’alloggio (e non solo quelli di un alloggio commisurato alla rispettiva situazione economica), le imposte, un’indennità per spese di telefonia e di comunicazione, i premi di assicurazioni non obbligatorie, le spese connesse all’esercizio di diritti di visita, gli oneri di previdenza professionale di lavoratori indipendenti e il rimborso di eventuali debiti contratti durante la comunione domestica, mentre rimangono escluse le spese voluttuarie o per diporto come viaggi, vacanze, hobby e così via.

Sul fabbisogno dei figli, in particolare

Diversamente da quanto valeva negli ultimi 30 anni, il fabbisogno dei figli non va più calcolato secondo le “famigerate” Tabelle di Zurigo, bensì – come detto – secondo le direttive per il calcolo dei minimi di esisten­za in Svizzera diramate dalla Conferen­za degli ufficiali delle esecuzioni e dei fallimenti agli effetti del­l’art. 93 LEF.

Al minimo di base del diritto esecutivo (che ammonta a fr. 400.– mensili fino ai 10 anni rispettivamente a fr. 600.— dopo di allora, si aggiunge una partecipazione ai costi dell’alloggio (del 20% per il primo figlio e del 10% per il secondo), il premio della cassa malati e una parte delle imposte (che la madre deve assume­re finché si vede cumulare il contributo di mantenimento ai propri redditi), e si deduce l’assegno familiare. Altri costi d’aggiungere sono ad esempio quelli per l’accudimento da parte di terzi.

Modifica degli alimenti in caso di nuove nozze

In merito alla domanda di modifica degli alimenti (soppressione o riduzione) previsti in una sentenza di divorzio quando il debitore si è risposato, la giurisprudenza ha stabilito che il debitore alimentare risposatosi può invocare unicamente la garanzia del proprio minimo esistenziale secondo il diritto esecutivo (art. 93 LEF). Non quindi quella del minimo esistenziale “allargato” del diritto civile, e ciò solo per la sua persona, non per la sua intera seconda famiglia.

In altri termini, il nuovo coniuge non entra in linea di conto. Di lui si tiene calcolo tutt’al più ove egli debba assistere economicamente il debitore nei suoi obblighi di mantenimento verso i figli avuti prima del nuovo matrimonio (RtiD I-2013 pag. 714 consid. 7a con rinvio a DTF 137 III 62 consid. 4.2.1, ribadito in: RtiD I-2014 pag. 737 consid. 6 e confermato dal Tribunale federale con sentenza 5A_902/2012 e 5D_192/2012 del 23 ottobre 2013 consid. 4.2.2).

Il minimo esistenziale di un debitore sposato consiste, secondo il diritto esecutivo, nella metà del minimo esistenziale per coniugi, cui si aggiungono i supplementi che riguardano lui soltanto, ovvero un importo adeguato per il costo dell’alloggio, le spese professionali indispensabili per il conseguimento del reddito (si pensi agli oneri di trasferta per raggiungere il posto di lavoro), il premio della cassa malati e – in caso di attività indipendente – i contributi della previdenza professionale. Il costo dell’alloggio viene riconosciuto, per principio, nella metà della pigione relativa all’abitazione coniugale, senza riguardo a chi sia intestato il contratto di locazione o a eventuali convenzioni interne fra coniu­gi sul riparto delle spese comuni. Un’eccezione ricorre solo qualora il coniuge del debitore non sia in grado di finanziare la propria metà. I premi delle assicurazioni non obbligatorie, poi, non vanno considerati, come non vanno considerate le imposte (RtiD I-2013 pag. 714 consid. 7b con rinvio a DTF 137 III 63 consid. 4.2.2, ribadito in: RtiD I-2014 pag. 737 consid. 7 e confermato dal Tribunale federale con sentenza 5A_902/2012 e 5D_192/2012 del 23 ottobre 2013 consid. 4.2.2).

Sulla possibilità di richiedere la soppressione o la riduzione di tali contributi già in via cautelare

Al proposito va osservato che il giudice adito con una petizione di modifica della sentenza di divorzio può decretare la soppressione o la riduzione di tali contributi già in via cautelare solo eccezionalmente e con grande cautela, quando la situazione economica appaia chiaramente mutata già a un som­mario esame. Nel dubbio, i contributi in vigore vanno mantenuti. olo eccezionalmente e con grande cautela, quando la situazione economica appaia chiaramente mutata già a un som­mario esame. Nel dubbio, i contributi in vigore vanno mantenuti. Ciò non solo perché essi figurano in una sentenza esecutiva, passata in giudicato, ma anche perché la sentenza che sarà pronunciata in esito al­l’azio­ne di modifica retroagirà – salvo ove ciò dovesse risultare iniquo – fin dall’introduzione della procedura, sicché il debitore potrà compensare eventuali contributi alimentari pagati in esubero pendente causa con quanto dovrà versare in seguito. Per di più, la soppressione o la riduzione di contributi di mantenimento in via cautelare è ammissibile solo ove si dia urgenza e sussistano circostanze particolari. Tale è il caso, in specie, qualora non si possa pretendere che l’obbligato continui a versare i contributi fissati nella sentenza di divorzio nemmeno per la durata del processo (urgenza), e ciò per il sensibile deterioramento intervenuto nella sua situazione economica (circostanza particolare), ponderati anche gli interessi del creditore (sentenza del Tribunale federale 5A_732/2012 del 4 dicembre 2012 consid. 3.2 con riferimento a DTF 118 II 229).

Il contributo previsto dalla convenzione prematrimoniale è vincolante per il giudice?

In una recente sentenza del 27 aprile 2017, il Tribunale d’appello si è confrontato con il problema della validità di una convenzione prematrimoniale. In particolare, il tema era se il contributo previsto dalla convenzione in caso di separazione era vincolante.

Debito mantenimento durante il matrimonio

Nella sentenza il Tribunale d’appello ha in primo luogo ricordato il contenuto delle norme legali applicabili. Esso ha quindi avantutto ricordato che durante il matrimonio i coniugi provvedono in comune, ciascuno nella misura delle proprie forze, al debito mantenimento della famiglia (art. 163 cpv. 1 CC).

La massima istanza cantonale ha anche rammentato che, secondo l’art. 163 cpv. 2 CC, essi si intendono sul loro contributo rispettivo, segnatamente circa le prestazioni pecuniarie, il governo della casa, la cura della prole o l’assistenza nella professione o nell’impresa dell’altro.
Validità dell’accordo prematrimoniale in caso di separazione?

Se interviene una sospensione della comunione domestica, il giudice chiamato a fissare contributi di mantenimento prende come punto di partenza l’intesa dei coniugi (espressa o tacita) sul riparto dei compiti e dei redditi durante la vita in comune. Eventuale il giudice deve modificarla per tenere conto della nuova situa­zione dovuta all’esistenza di due economie domestiche distinte.

I coniugi possono anche regolare anticipatamente la questione del mantenimento in caso di separazione.

Accordi a tal fine sono leciti e, secondo dottrina, raccomandabili (Scheidungs­planung). Non soggiacciono a requisiti di forma e vincolano le parti (Meier, Les conventions matrimoniales hors régime matrimonial, collana gialla CFPG n. 17, Lugano 2015, pag. 17 n. 30 e 32 seg.). Questi accordi non impediscono che un coniuge adisca il giudice delle misure a protezione del­l’unione coniugale (art. 176 cpv. 1 n. 1 CC) o, eventualmente, il giudice dei provvedimenti cautelari in una causa di divorzio (art. 276 cpv. 1 CPC).

Nuove circostanze o manifesta inadeguatezza

Il coniuge che intende sottrarsi alla convenzione deve addurre tuttavia fatti nuovi e rendere verosimile che le circostanze sono mutate in modo durevole e significativo, o perché le previsioni dell’accordo si siano rivelate inesatte o perché esse non si siano avverate secondo le attese (Meier, op. cit., pag. 18 n. 34 e pag. 20 n. 37 con richiami).

Se il giudice a protezione del­l’unione coniugale adito da una parte per questioni di mantenimento sia tenuto alle disposizioni dell’accordo oppure se, apparendogli l’accordo inadeguato, possa scostarsene.

Ora, a prescindere dal caso in cui un coniuge si valga di mutamenti rilevanti e duraturi intervenuti dopo la stipulazione dell’atto (ipotesi estranea alla fattispecie), la dottrina reputa che di fronte a una convenzione prematrimoniale contestata da una parte il giudice proceda come di fronte a una convenzione stipulata in corso di procedura, allorché un coniuge chieda l’omologazione dell’atto e l’altro vi si opponga. Se è convinto che le parti hanno concluso l’accordo di loro libera volontà e dopo matura riflessione, il giudice verifica di conseguenza se in materia di mantenimento la convenzione sia chiara e “non manifestamente inadeguata” (art. 279 cpv. 1 prima frase CPC; Meier, op. cit., pag. 29 n. 63 con numerosi richiami).

Il Tribunale d’appello ha quindi ritenuto che se vi è uno scarto immediatamente riconoscibile tra quanto previsto dalla convenzione e l’importo che sarebbe stabilito in assenza di questa, senza che ciò appaia giustificato da considerazioni d’equità, si deve ritenere che sussiste manifesta inadeguatezza.

Non di meno, la corte ha evidenziato che l’inadeguatezza, comunque sia, dev’essere “manifesta”.

In altri termini l’omologazione dell’accordo va rifiutatasolo qualora si ravvisi una sproporzione evidente e un grande divario in merito alla pretesa di mantenimento che spetta al coniuge richiedente secondo la convenzione per rapporto alla pretesa che a quel coniuge spetterebbe secondo la legge.

Imposizione di un reddito ipotetico in caso di diminuzione abusiva del reddito

Di norma, per il calcolo del contributo di mantenimento ci si fonda sul reddito effettivo dei coniugi. Qualora un coniuge sia in grado di guadagnare un reddito maggiore dando prova di buona volontà, è però possibile imputargli tale reddito maggiore quale reddito ipotetico.

L’imposizione di un reddito ipotetico presuppone che lo svolgimento di tale attività sia esigibile e alla concretamente possibile.

Con riferimento alla questione dell’esigibilità di un reddito ipotetico, il giudice deve in particolare verificare se, ad esempio, la ripresa o l’estensione di un’attività lucrativa da parte del coniuge inattivo professionalmente durante il matrimonio può essergli imposta tenendo conto della sua età, del suo stato di salute e della sua formazione professionale.

Esigibilità e possibilità reale sono requisiti cumulativi.

Pertanto, in una sentenza del 29 giugno 2015, il Tribunale federale aveva indicato che qualora manchi la possibilità di accrescere il reddito, non può esservi imposizione di un reddito ipotetico.

Addirittura, secondo il Tribunale federale, l’imposizione di un reddito ipotetico non entrava in linea di conto qualora la diminuzione della propria capacità contributiva non poteva essere “revocata”. Ciò finanche nel caso in cui il coniuge ha diminuito il reddito abusivamente per danneggiare l’altro coniuge (BGE 128 III 4).

Giustamente, la dottrina ha criticato questa giurisprudenza ingiusta.

Finalmente, in una recentissima sentenza del 2 maggio 2017, destinata alla pubblicazione nella raccolta ufficiale, il Tribunale federale ha deciso che anche quando la diminuzione della capacità contributiva non possa più essere “revocata”, l’imposizione di un reddito ipotetico maggiore di quello effettivo è possibile se un coniuge ha diminuito il reddito per danneggiare l’altro coniuge e sottrarsi ai suoi obblighi di mantenimento.

A che condizioni vi è un diritto di mantenimento per i figli maggiorenni?

Secondo l’art. 277 CC, l’obbligo di mantenimento dura fino alla maggiore età del figlio.

Il capoverso 2 dell’art. 277 CC prevede però che se, raggiunta la maggiore età, il figlio non ha ancora una formazione appropriata, i genitori, per quanto si possa ragionevolmente pretendere da loro dato l’insieme delle circostanze, devono continuare a provvedere al suo mantenimento fino al momento in cui una simile formazione possa normalmente concludersi.

Il diritto al contributo di mantenimento per maggiorenni presuppone che il figlio concluda la sua prima formazione entro i termini usualmente previsti. Di regola, la formazione non si protrae in modo eccessivo a causa di insuccessi occasionali o brevi periodi di inattività, nella misura in cui il figlio mostra una buona volontà di accelerare la formazione e possa dimostrare dei successi. Anche un figlio che per un certo periodo è stato economicamente indipendente e abbia cessato l’attività lucrativa per iniziare una prima formazione ha diritto al contributo di mantenimento per maggiorenni, qualora i piani di formazione erano stabiliti quantomeno a grandi linee prima del raggiungimento della maggiore età.

Spesso i genitori si chiedono se può essere imposto loro di versare dei contributi di mantenimento a un figlio maggiorenne anche qualora essi non riescano ad avere contatti con il figlio. Secondo giurisprudenza, un genitore può negare contributi di mantenimento a un figlio solo se la mancanza di relazioni con il medesimo va ascritta a colpa esclusiva del figlio (RtiD I-2015 pag. 883 n. 14c con numerosi riferimenti e la successiva sentenza del Tribunale federale 5A_182/2014 del 12 dicembre 2014 fra le stesse parti, consid. 3.2; da ultimo: I CCA, sentenza inc. 11.2013.14 del 31 agosto 2015, consid. 7).

In altri termini, il figlio deve avere provocato l’interruzione dei rapporti personali con il suo rifiuto ingiustificato di intrattenerne, con il suo contegno particolarmente litigioso oppure con la sua ostilità profonda. Il comportamento di un figlio nei confronti di un genitore divorziato, quand’anche oggettivamente riprovevole, va apprezzato con prudenza, dovendosi tenere conto delle emozioni che il divorzio dei genitori suscita nel figlio e delle tensioni che ne derivano. Più il figlio cresce, tuttavia, meno la cautela si giustifica. Se il figlio persiste nel proprio atteggiamento di rifiuto anche dopo la maggiore età, ciò può assurgere a colpa.

La cessazione dei contatti con l’obbligato al versamento del contributo di mantenimento può quindi portare al rifiuto, rispettivamente alla riduzione dei contributi di mantenimento, nella misura in cui il beneficiario dei contributi può esserne reso unilateralmente responsabile.

Presupposti per l’imputazione di un reddito ipotetico

Nell’ambito della fissazione dei contributi di mantenimento è possibile imputare al debitore un reddito ipotetico, qualora questo coniuge sia in grado di effettivamente guadagnare di più dando prova di buona volontà.

L’imposizione di un reddito ipotetico non ha carattere punitivo.

In una recentissima sentenza, del 29 giugno 2015, il Tribunale federale ha indicato che qualora manchi la possibilità di accrescere il reddito, non può esservi imposizione di un reddito ipotetico.

Addirittura nel caso in cui il coniuge ha diminuito il reddito abusivamente per danneggiare l’altro coniuge, l’imposizione di un reddito ipotetico non entra in linea di conto qualora la diminuzione della propria capacità contributiva non possa essere “revocata” (5A_34/2015).