Rivoluzione del Tribunale federale sul metodo di calcolo dei contributi di mantenimento (alimenti)

In tre recenti sentenze il Tribunale federale ha rivoluzionato il metodo di calcolo dei contributi di mantenimento (alimenti) del diritto di famiglia e ha dichiarato applicabile a livello svizzero, di principio, unicamente il metodo a “due fasi”: secondo questo metodo, si procede al riparto tra i coniugi e i figli, di regola nella proporzione di 2 a uno, del­l’eccedenza che rimane dopo aver dedotto dal reddito globale della famiglia il fabbisogno dei coniugi e quello dei figli minorenni.

Il fabbisogno di ogni membro della famiglia è definito in base alle direttive per il calcolo dei minimi di esisten­za in Svizzera diramate dalla Conferen­za degli ufficiali delle esecuzioni e dei fallimenti agli effetti del­l’art. 93 LEF (per il Cantone Ticino: FU 68/2009 del 28 agosto 2009 pag. 6292 segg.). A tali minimi si aggiungono per ogni singolo membro, se le condizioni della famiglia ciò permettono, i costi effettivi dell’alloggio (e non solo quelli di un alloggio commisurato alla rispettiva situazione economica), le imposte, un’indennità per spese di telefonia e di comunicazione, i premi di assicurazioni non obbligatorie, le spese connesse all’esercizio di diritti di visita, gli oneri di previdenza professionale di lavoratori indipendenti e il rimborso di eventuali debiti contratti durante la comunione domestica, mentre rimangono escluse le spese voluttuarie o per diporto come viaggi, vacanze, hobby e così via.

Sul fabbisogno dei figli, in particolare

Diversamente da quanto valeva negli ultimi 30 anni, il fabbisogno dei figli non va più calcolato secondo le “famigerate” Tabelle di Zurigo, bensì – come detto – secondo le direttive per il calcolo dei minimi di esisten­za in Svizzera diramate dalla Conferen­za degli ufficiali delle esecuzioni e dei fallimenti agli effetti del­l’art. 93 LEF.

Al minimo di base del diritto esecutivo (che ammonta a fr. 400.– mensili fino ai 10 anni rispettivamente a fr. 600.— dopo di allora, si aggiunge una partecipazione ai costi dell’alloggio (del 20% per il primo figlio e del 10% per il secondo), il premio della cassa malati e una parte delle imposte (che la madre deve assume­re finché si vede cumulare il contributo di mantenimento ai propri redditi), e si deduce l’assegno familiare. Altri costi d’aggiungere sono ad esempio quelli per l’accudimento da parte di terzi.

Divorzio: scioglimento della comproprietà con diritto di abitazione

Spesso, nell’ambito del divorzio, i coniugi non trovano un accordo in merito allo scioglimento della comproprietà relativamente alla casa d’abitazione.

In una recente sentenza del 14 novembre 2018, il Tribunale d’appello ha ricordato che per legge ogni comproprietario ha il diritto di chiedere la cessazione di una comproprietà, “a meno che ciò non sia escluso dal negozio giuridico, dalla suddivisione in proprietà per piani o dal fine a cui la cosa è durevolmente destinata” (art. 650 cpv. 1 CC).

Lo scioglimento, comunque, non può essere chiesto intempestivamente (art. 650 cpv. 3 CC).

Va considerata intempestiva è una richiesta che comporta oneri eccessivi o svantaggi considerevoli per gli altri comproprietari o alcuni di essi.

L’intempestività deve però risultare da fatti e circo­stanze oggettive, in rapporto con il bene da dividere, e non riferirsi a peculiarità di un comproprietario.

Giustificazioni soggettive di uno di loro (come ad esempio la volontà di rimanere nell’abitazione coniugale con i figli fino al termine della loro formazione) possono semmai sostenere la tesi dell’interesse preponderante nel senso dell’art. 205 cpv. 2 CC, non invece l’opposizione allo scioglimento della comproprietà.

Se una richiesta è intempestiva o meno, è una questione che il giudice deve decidere secondo libero apprezzamento, tenendo conto degli interessi dei comproprietari coinvolti.

Comunque sia, l’intempestività non può, ad ogni modo, impedire durevolmente lo scioglimento di una comproprietà (RtiD II-2008 pag. 652 n. 28c: I CCA, 
sentenza inc. 11.2013.12 del 5 maggio 2015, consid. 5).

Il diritto di esigere lo scioglimento di una comproprietà sussiste – per principio – anche tra coniugi, riservata la norma a protezione dell’abitazione familiare (art. 169 CC).

Al riguardo, il Tribunale d’appello ha già avuto modo di ricordare che per apprezzare se in casi del genere un coniuge si oppone legittimamente allo scioglimento (temporaneo) della comproprietà chiesto dall’altro, il giudice deve ponderare gli interessi, valutando quelli personali dell’istante, quelli personali dell’altro coniuge e quelli della famiglia nel suo insieme. 
(v. RtiD I-2014 pag. 761 consid. 4, II-2009 pag. 652 consid. 6; I CCA, sentenza inc. 11.2013.42 del 5 maggio 2015, consid. 5).

Sentenza di divorzio quale titolo di rigetto dell’opposizione per il contributo a favore di un figlio maggiorenne in formazione?

Il 1° marzo 2018 il Tribunale federale ha deciso (Sentenza TF 5A_204/2017 ) che una sentenza di divorzio che prevede il pagamento di un contributo di mantenimento a favore di un figlio maggiorenne costitisce un titolo di rigetto definitivo dell’opposizione, nella misura in cui essa preveda esplicitamente l’ammontare e la durata dell’obbligo di mantenimento.

Secondo l’art. 80 cpv. 1 LEF, se il credito è fondato su una decisione esecutiva di un tribunale svizzero o di un’autorità amministrativa svizzera, l’opposizione è rigettata in via definitiva a meno che l’escusso provi con documenti che dopo l’emanazione della decisione il debito è stato estinto o il termine per il pagamento è stato prorogato ovvero che è intervenuta la prescrizione.

Per un contributo di mantenimento a favore di un figlio maggiorenne la sentenza di divorzio, per costituire un titolo di rigetto definitivo dell’opposizione, deve indicare l’ammontare e la durata dell’obbligo di mantenimento.

Se l’obbligo di versamento è sottoposto a una cosiddetta condizione risolutiva, tipicamente che il figlio non sia in grado di far fronte al suo mantenimento, spetta al genitore escusso fornire la prova documentale che tale condizione è adempiuta.

Per quanto attiene in generale il contributo di mantenimento a favore di un figlio maggiorenne, si osserva che una volta il contributo di mantenimento era previsto solo fino al raggiungimento della maggiore età e, se il figlio voleva un mantenimento anche successivo, doveva agire in giustizia.

Sia considerato l’abbassamento della maggiore età da 20 a 18anni, sia per non costringere i figli ad agire il giudice, la giurisprudenza prevede ora che già nelle sentenze di divorzio va previsto che il contributo venga versato fino al termine della formazione.

Una volta il Tribunale federale aveva (giustamente) indicato che un padre non deve essere degradato alla funzione di bancomat, nel senso che un figlio non può pretendere il mantenimento del padre e nel contempo rifiutare qualsiasi contatto con lui. In successive sentenze, purtroppo, questa limitazione è stata stemperata. Secondo giurisprudenza un genitore può negare contributi di mantenimento a un figlio solo se la mancanza di relazioni con il medesimo va ascritta a colpa eslusiva del figlio.

In altri termini, il figlio deve avere provocato l’interruzione dei rapporti personali con il suo rifiuto ingiustificato di intrattenerne, con il suo contegno particolarmente litigioso oppure con la sua ostilità profonda. Il comportamento di un figlio nei confronti di un genitore divorziato, quand’anche oggettivamente riprovevole, va apprezzato con prudenza, dovendosi tenere conto delle emozioni che il divorzio dei genitori suscita nel figlio e delle tensioni che ne derivano.

Comunque, più il figlio cresce, tuttavia, meno la cautela si giustifica. Se il figlio persiste nel proprio atteggiamento di rifiuto anche dopo la maggiore età, ciò può assurgere a colpa.

Imposizione di un reddito ipotetico in caso di diminuzione abusiva del reddito

Di norma, per il calcolo del contributo di mantenimento ci si fonda sul reddito effettivo dei coniugi. Qualora un coniuge sia in grado di guadagnare un reddito maggiore dando prova di buona volontà, è però possibile imputargli tale reddito maggiore quale reddito ipotetico.

L’imposizione di un reddito ipotetico presuppone che lo svolgimento di tale attività sia esigibile e alla concretamente possibile.

Con riferimento alla questione dell’esigibilità di un reddito ipotetico, il giudice deve in particolare verificare se, ad esempio, la ripresa o l’estensione di un’attività lucrativa da parte del coniuge inattivo professionalmente durante il matrimonio può essergli imposta tenendo conto della sua età, del suo stato di salute e della sua formazione professionale.

Esigibilità e possibilità reale sono requisiti cumulativi.

Pertanto, in una sentenza del 29 giugno 2015, il Tribunale federale aveva indicato che qualora manchi la possibilità di accrescere il reddito, non può esservi imposizione di un reddito ipotetico.

Addirittura, secondo il Tribunale federale, l’imposizione di un reddito ipotetico non entrava in linea di conto qualora la diminuzione della propria capacità contributiva non poteva essere “revocata”. Ciò finanche nel caso in cui il coniuge ha diminuito il reddito abusivamente per danneggiare l’altro coniuge (BGE 128 III 4).

Giustamente, la dottrina ha criticato questa giurisprudenza ingiusta.

Finalmente, in una recentissima sentenza del 2 maggio 2017, destinata alla pubblicazione nella raccolta ufficiale, il Tribunale federale ha deciso che anche quando la diminuzione della capacità contributiva non possa più essere “revocata”, l’imposizione di un reddito ipotetico maggiore di quello effettivo è possibile se un coniuge ha diminuito il reddito per danneggiare l’altro coniuge e sottrarsi ai suoi obblighi di mantenimento.

Modifica di contributi alimentari fissati in una procedura a tutela dell’unione coniugale o in via cautelare in una causa di divorzio

Le misure adottate a protezione dell’unione coniugale rimangono in vigore anche durante la successiva causa di divorzio, per lo meno fino al momento in cui il giudice del divorzio non le sopprima o le sostituisca – pro futuro – decretando provve­dimenti cautelari (art. 276 cpv. 2 CPC). E siccome provvedimenti cautelari sono emanati solo ove appaiano “necessari” (art. 276 cpv. 1 prima frase), il giudice del divorzio modificherà o sopprimerà le misure a protezione del­l’unione coniugale solo ove occorra. Tale è il caso quando siano mutate in maniera relativamente duratura e rilevante le circostanze considerate al momento della decisione, oppure quando previsioni formulate in base alla situazione di quel momento non si siano avverate o si siano avverate solo in parte, o qualora l’autorità abbia statuito a suo tempo senza conoscere circostanze determinanti (art. 179 cpv. 1 prima frase CC per analogia). Dandosi simili presupposti, il giudice del divorzio determina nuovi contributi di mantenimento in via cautelare dopo avere aggiornato gli elementi di cui aveva tenuto calcolo l’autorità a protezione dell’unione coniugale e che risultano litigiosi (DTF 138 III 292 consid. 11.1.1, 137 III 606 consid. 4.1.2; più recentemente: sentenza del Tribunale federale 5A_140/2013 del 28 maggio 2013, consid. 4.1)

Modifica dei contributi di mantenimento previsti in una sentenza di divorzio, già in via cautelare?

In primo luogo è opportuno ricordare che i contributi di mantenimento a favore di un ex coniuge fissati in una sentenza di divorzio passata in giudicato possono essere ridotti, soppressi o temporaneamente sospesi “se la situazione muta in maniera rilevante e durevole” (art. 129 cpv. 1 CC).

I contributi di mantenimento per figli minorenni, poi, possono essere modificati o tolti dal giudice, su istanza di un genitore o del figlio ove “le circostanze siano notevolmente mutate” (art. 286 cpv. 2 CC, cui rinvia l’art. 134 cpv. 2).

La modifica o la soppressione di un contributo alimentare presuppone che la situazione economica dell’una o dell’altra parte sia cambiata in modo ragguardevole e duraturo rispetto al momento in cui il contributo è stato fissato.

In una causa promossa per ottenere la modifica di una sentenza di divorzio, il giudice può modificare o sopprimere i contributi già in via cautelare, ma ciò solo a titolo eccezionale e con grande cautela quando la situazione economica appaia chiaramente mutata già a un sommario esame e non permetta di pretendere che l’obbligato continui a versare i contributi litigiosi neppure per la durata del processo.

Nel dubbio, i contributi precedenti vanno mantenuti (RtiD II-2015 pag. 791 consid. 7 con rimandi). Non solo perché essi figurano in una sentenza esecutiva, passata in giudicato, ma anche perché la sentenza che sarà pronunciata in esito al­l’azio­ne di modifica retroagirà – salvo ove ciò dovesse risultare iniquo (DTF 117 II 369 consid. 4c) – fin dall’introduzione del processo, sicché il debitore potrà compensare eventuali contributi alimentari pagati in esubero pendente causa con quanto dovrà versare in seguito.

In particolare, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che una riduzione o una soppressione cautelare di contributi di mantenimento in una causa tendente alla modifica di una sentenza di divorzio è ammissibile solo ove si dia urgenza e sussistano circostanze particolari.

Questo è il caso, ad esempio, qualora non si possa esigere che il debitore attenda la decisione di merito per vedere sopprimere o ridurre i contributi alimentari stabiliti nella sentenza di divorzio (urgenza), e ciò per il sensibile deterioramento intervenuto nella sua situazione economica (circostanza particolare), ponderati anche gli interessi del creditore.

Quale è il fabbisogno di un figlio minorenne che vive in casa con fratelli maggorenni?

Il Tribunale d’appello ha recentemente indicato che il fabbisogno in denaro di un figlio minorenne che vive in casa con un fratello maggiorenne, va determinato secondo le raccomandazioni pubblicate dall’Ufficio della gioventù e dell’orientamento professionale del Canton Zurigo come quello di un secondo figlio e non come quello di un figlio unico (RtiD II-2006 pag. 693 n. 43c). quando il figlio maggiorenne è ancora a carico dei genitori.

Sentenza del 7 aprile 2014, inc. 11.2011.94

Possibile richiedere attribuzione in proprietà dell’abitazione coniugale nel divorzio?

Il Tribunale d’appello si è recentemente confrontato con il caso di una moglie che chiedeva che in esito al divorzio l’attribuzione in proprietà dell’abitazione coniugale.

Al proposito, il Tribunale d’appello ha ricordato che dandosi un’abitazione familiare in proprietà di un coniuge, dopo il divorzio l’art. 121 cpv. 3 CC prevede unicamente la possibilità di attribuire all’altro coniuge – contro indennizzo – un diritto d’abitazione, per altro di durata limitata.

In altri termini, il legislatore ha scientemente rinunciato invece a prevedere un trasferimento di proprietà (Gloor in: Basler Kommentar, ZGB I, 4ª edizio­ne, n. 1 ad art. 121). L’art. 205 cpv. 2 CC, che autorizza l’attribuzione di un bene a un coniuge dietro compenso all’altro coniuge, si applica unicamente a beni in comproprietà o in proprietà comune (Gloor, op. cit., n. 12 ad art. 121 CC; Hausheer/Aebi-Mül­ler in: Basler Kommentar, op. cit., n. 10 ad art. 205 CC; Steinauer in: Commentarie romand, CC I, Basilea 2010, n. 16 ad art. 205).

Ne discende che quando l’abitazione coniugale è in proprietà esclusiva del marito, la possibilità di assegnare tale fondo dopo il divorzio in proprietà esclusiva alla moglie non entra in considerazione.

Il contributo a scopo di previdenza

In una sentenza del 18 febbraio 2013 (5A_899/2012), il Tribunale federale ha stabilito che per la determinazione del contributo a scopo di previdenza occorre trasformare il tenore di vita, al cui mantenimento il coniuge beneficiario del contributo di mantenimento ha di principio diritto, in un reddito lordo fittizio. Su questa base vanno calcolati i contributi del datore di lavoro e del lavoratore che assieme, aumentati del eventuale carico fiscali, danno il contributo di mantenimento a scopo di previdenza.

Estratto da Rivista ticinese di diritto II-2007 (III. Diritto di famiglia)

14c Art. 146 cpv. 1 CC

Legittimazione ad appellare del curatore processuale

Il curatore processuale del figlio non è legittimato ad appellare i dispositivi in relazione al mantenimento del minorenne contenuti in una sentenza di misure a protezione dell’unione coniugale.
I CCA 25.4.2007 N. 11.2007.44

15c Art. 159 cpv. 3, 137 cpv. 2, 163 cpv. 1 CC

Provvigione ad litem: dovere coniugale di mutua assistenza o di mantenimento?

L’art. 159 cpv. 3 CC presuppone che il coniuge richiedente necessiti di «assistenza». Finché può stare in causa con mezzi propri, egli non ha diritto di chiedere una provvigione ad litem, nemmeno ove l’altro coniuge sia in grado di fornirla o si trovi in condizioni economiche migliori delle sue (conferma della giurisprudenza).
Il coniuge richiedente può fondare la sua pretesa sull’art. 163 cpv. 1 CC, facendola valere alla stregua di una posta necessaria per il «debito mantenimento», come avviene nelle procedure a tutela dell’unione coniugale? Questione lasciata irrisolta.
I CCA 30.1.2007 N. 11.2006.108

16c Art. 169 cpv. 2 CC

Abitazione familiare – mancato consenso del coniuge a un aggravio ipotecario

Il coniuge che si vede rifiutare a torto il consenso per gravare di un’ipoteca l’abitazione familiare in comproprietà con l’altro coniuge può rivolgersi al giudice e farsi autorizzare a procedere da sé solo, anche durante una causa di divorzio.
I CCA 7.2.2007 N. 11.2006.109

17c Art. 170 CC; 95, 213a CPC; 292 CP

Edizione di documenti fra coniugi – comminatoria penale– ricevibilità del ricorso al Tribunale federale

Il rischio di incorrere in una condanna penale per disobbedienza giusta l’art. 292 CP, qualora non venisse dato seguito in tempo utile all’ordine impartito nella decisione impugnata, costituisce un pregiudizio di natura giuridica; il ricorso contro l’ordinanza del Pretore è pertanto ricevibile.
Dall’art. 170 CC sgorga direttamente la facoltà del giudice adito con una domanda di esecuzione del diritto di informazione di non solo far capo alle misure coercitive previste dal diritto di procedura cantonale, ma pure alla comminatoria penale di cui all’art. 292 CP.
TF 2.3.2007 N. 5P.378/2006

18c Art. 176 cpv. 1, 285 cpv. 1 CC

Protezione dell’unione coniugale – contributo alimentare per figli maggiorenni

Nel fissare i contributi di mantenimento in favore del coniuge e dei figli minorenni il giudice delle misure a protezione dell’unione coniugale tiene conto, nel bilancio familiare, anche di eventuali contributi per figli maggiorenni, sempre che su tali contributi non vi sia disaccordo. Se al proposito le posizioni delle parti divergono, incombe al maggiorenne adire il giudice del mantenimento valendosi dell’art. 277 cpv. 2 CC (conferma della giurisprudenza).
I CCA 10.4.2007 N. 11.2005.165

19c Art. 176 cpv. 1 n. 1 CC

Protezione dell’unione coniugale – obbligo di versare contributi di mantenimento che erodono la sostanza del debitore alimentare

In che misura il mantenimento della famiglia dev’essere garantito, in difetto di redditi sufficienti, anche da prelievi sulla sostanza dell’obbligato alimentare? Questione lasciata irrisolta nella fattispecie per le particolarità del caso concreto.
I CCA 16.3.2007 N. 11.2006.29

20c Art. 176 cpv. 3, 279 cpv. 2 CC

Protezione dell’unione coniugale – attribuzione dell’autorità parentale a un solo genitore?
L’attribuzione dell’autorità parentale a uno solo dei genitori nell’ambito di misure a protezione dell’unione coniugale va decisa con grande prudenza e adottata solo ove l’attribuzione della custodia parentale a uno solo dei genitori appaia insufficiente a tutelare il bene del figlio.
I CCA 22.1.2007 N. 11.2003.88 

21c Art. 275, 134 cpv. 3 e 4, 179 cpv. 1 CC

Modifica del contributo alimentare per un figlio minorenne e modifica delle relazioni personali del figlio con il genitore non affidatario – competenza del giudice o dell’autorità tutoria?

Competenza nel caso in cui sia litigiosa la modifica del contributo alimentare (consid. 4). Competenza nel caso in cui sia litigiosa la modifica delle relazioni personali (consid. 4). Competenza nel caso in cui siano litigiose entrambe le questioni (consid. 5).
I CCA 2.1.2007 N. 11.2006.42

22c Art. 275 cpv. 1, 285 CC

Azione di mantenimento: reddito determinante del genitore convenuto – regolamentazione del diritto di visita: competenza

Nell’accertare il reddito del genitore il giudice deduce dai proventi immobiliari di lui – per principio – gli oneri ipotecari, le spese di manutenzione e quelle di amministrazione, come pure gli ammortamenti. Ove eccedano il reddito immobiliare, però, tali uscite possono essere prese in considerazione solo nella misura in cui non intacchino la copertura del fabbisogno suo e di quello del figlio (consid. 5b).
Trattandosi di un figlio di genitori non sposati, la facoltà di regolare o modificare il diritto di visita compete solo all’autorità tutoria. Il giudice adito con un’azione di mantenimento può unicamente, ravvisando la necessità di disciplinare le relazioni tra genitore e figlio, invitare l’autorità tutoria a intervenire (consid. 10).
I CCA 28.12.2006 N. 11.2003.110 (ricorso per riforma dichiarato inammissibile dal Tribunale federale con sentenza 5C.37/2007 del 9 luglio 2007)

23c Art. 307 segg. CC; 44 LPamm; 26 cpv. 3 LTeC

Protezione del figlio – impugnabilità di decisioni prese da una Commissione tutoria regionale

La decisione con cui una Commissione tutoria regionale ordina l’assunzione di prove ha carattere incidentale. È impugnabile davanti all’Autorità di vigilanza, pertanto, solo ove possa causare al ricorrente un danno «non altrimenti riparabile» (conferma della giurisprudenza; consid. 3 a 5).
La decisione con cui una Commissione tutoria regionale ordina misure d’urgenza ha carattere provvisionale. È impugnabile davanti all’Autorità di vigilanza, pertanto, solo ove possa causare al ricorrente un danno «non altrimenti riparabile» e sia stata emanata «previo contraddittorio» (conferma della giurisprudenza). Il «contraddittorio» comprende, di regola, l’audizione del figlio che ha compiuto i sei anni di età e la possibilità per entrambi i genitori di esprimersi, almeno per scritto (consid. 6).
La decisione provvisionale emanata da una Commissione tutoria regionale previo contraddittorio incompleto (non essendo stato ascoltato il figlio o non essendosi potuto esprimere un genitore) non è nulla, ma rimane una decisione presa senza contraddittorio. Un ricorso diretto contro di essa all’Autorità di vigilanza va dunque dichiarato irricevibile e gli atti ritornati alla Commissione tutoria regionale perché integri il contraddittorio e statuisca di nuovo (conferma della giurisprudenza; consid. 7).
I CCA 31.1.2007 N. 11.2006.153

24c Art. 325 cpv. 3 CC

Curatela amministrativa a protezione di beni del figlio

La misura si giustifica ove provvedimenti meno incisivi, come le istruzioni ai genitori (art. 324 cpv. 2 CC) o l’obbligo di consegnare rendiconti e rapporti (art. 318 cpv. 3 CC), appaiano insufficienti (consid. 2 e 7).
Solo il giudice civile può condannare un genitore a versare somme di denaro per il mantenimento dei figli. Qualora eroghi anticipi a tal fine, l’ente pubblico è surrogato nei diritti del minorenne (art. 289 cpv. 2 CC), ma per ottenere il rimborso dai genitori deve rivolgersi anch’esso al giudice civile. L’autorità amministrativa non può far capo a strumenti che tutelano gli averi del figlio – come la curatela amministrativa – per agevolare fornitori di prestazioni in favore del minorenne, consentendo loro di eludere la giurisdizione civile nel ricuperare il credito presso i genitori (consid. 3 e 4).
I CCA 23.2.2007 N. 11.2007.22

62c Art. 83 cpv. 1 LDIP

Azione di mantenimento – contributo alimentare per un figlio residente in Brasile

Il fabbisogno in denaro di un figlio residente in Brasile può essere equamente stimato facendo capo agli indici sul livello dei prezzi (comprensivi della locazione) periodicamente diramati dalla UBS («Preise und Löhne/Prix et salaires»), senza trascurare che tali coefficienti sono rapportati al costo della vita nell’area urbana di Zurigo. Al fabbisogno in denaro su scala nazionale si riferiscono invece le raccomandazioni pubblicate dall’Ufficio della gioventù e dell’orientamento professionale del Canton Zurigo, applicabili nel caso di minorenni residenti in Svizzera.
I CCA 16.4.2007 N. 11.2004.66