Il contributo previsto dalla convenzione prematrimoniale è vincolante per il giudice?

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In una recente sentenza del 27 aprile 2017, il Tribunale d’appello si è confrontato con il problema della validità di una convenzione prematrimoniale. In particolare, il tema era se il contributo previsto dalla convenzione in caso di separazione era vincolante.

Debito mantenimento durante il matrimonio

Nella sentenza il Tribunale d’appello ha in primo luogo ricordato il contenuto delle norme legali applicabili. Esso ha quindi avantutto ricordato che durante il matrimonio i coniugi provvedono in comune, ciascuno nella misura delle proprie forze, al debito mantenimento della famiglia (art. 163 cpv. 1 CC).

La massima istanza cantonale ha anche rammentato che, secondo l’art. 163 cpv. 2 CC, essi si intendono sul loro contributo rispettivo, segnatamente circa le prestazioni pecuniarie, il governo della casa, la cura della prole o l’assistenza nella professione o nell’impresa dell’altro.
Validità dell’accordo prematrimoniale in caso di separazione?

Se interviene una sospensione della comunione domestica, il giudice chiamato a fissare contributi di mantenimento prende come punto di partenza l’intesa dei coniugi (espressa o tacita) sul riparto dei compiti e dei redditi durante la vita in comune. Eventuale il giudice deve modificarla per tenere conto della nuova situa­zione dovuta all’esistenza di due economie domestiche distinte.

I coniugi possono anche regolare anticipatamente la questione del mantenimento in caso di separazione.

Accordi a tal fine sono leciti e, secondo dottrina, raccomandabili (Scheidungs­planung). Non soggiacciono a requisiti di forma e vincolano le parti (Meier, Les conventions matrimoniales hors régime matrimonial, collana gialla CFPG n. 17, Lugano 2015, pag. 17 n. 30 e 32 seg.). Questi accordi non impediscono che un coniuge adisca il giudice delle misure a protezione del­l’unione coniugale (art. 176 cpv. 1 n. 1 CC) o, eventualmente, il giudice dei provvedimenti cautelari in una causa di divorzio (art. 276 cpv. 1 CPC).

Nuove circostanze o manifesta inadeguatezza

Il coniuge che intende sottrarsi alla convenzione deve addurre tuttavia fatti nuovi e rendere verosimile che le circostanze sono mutate in modo durevole e significativo, o perché le previsioni dell’accordo si siano rivelate inesatte o perché esse non si siano avverate secondo le attese (Meier, op. cit., pag. 18 n. 34 e pag. 20 n. 37 con richiami).

Se il giudice a protezione del­l’unione coniugale adito da una parte per questioni di mantenimento sia tenuto alle disposizioni dell’accordo oppure se, apparendogli l’accordo inadeguato, possa scostarsene.

Ora, a prescindere dal caso in cui un coniuge si valga di mutamenti rilevanti e duraturi intervenuti dopo la stipulazione dell’atto (ipotesi estranea alla fattispecie), la dottrina reputa che di fronte a una convenzione prematrimoniale contestata da una parte il giudice proceda come di fronte a una convenzione stipulata in corso di procedura, allorché un coniuge chieda l’omologazione dell’atto e l’altro vi si opponga. Se è convinto che le parti hanno concluso l’accordo di loro libera volontà e dopo matura riflessione, il giudice verifica di conseguenza se in materia di mantenimento la convenzione sia chiara e “non manifestamente inadeguata” (art. 279 cpv. 1 prima frase CPC; Meier, op. cit., pag. 29 n. 63 con numerosi richiami).

Il Tribunale d’appello ha quindi ritenuto che se vi è uno scarto immediatamente riconoscibile tra quanto previsto dalla convenzione e l’importo che sarebbe stabilito in assenza di questa, senza che ciò appaia giustificato da considerazioni d’equità, si deve ritenere che sussiste manifesta inadeguatezza.

Non di meno, la corte ha evidenziato che l’inadeguatezza, comunque sia, dev’essere “manifesta”.

In altri termini l’omologazione dell’accordo va rifiutatasolo qualora si ravvisi una sproporzione evidente e un grande divario in merito alla pretesa di mantenimento che spetta al coniuge richiedente secondo la convenzione per rapporto alla pretesa che a quel coniuge spetterebbe secondo la legge.